Almeno tre o quattro giorni alla settimana, appena uscita da scuola, dalla città si andava in collina. Anche quando la nebbia non faceva vedere ad un palmo dal naso e mia mamma riusciva a guidare solo perché conosce quella strada come se fosse stata lei a disegnarla.
E ci sono degli odori e dei profumi – ma anche dei colori e dei sapori – di quegli anni che conservo nella memoria dei sensi oggi come ieri e appena mi sembra di captarli nell’aria si apre quel prezioso cassetto dei ricordi. Ed è così per sempre. A me capita con il profumo dell’erba tagliata. Sono cresciuta nel Monferrato e dai nonni, con il primo sole, era tutto un tagliare l’erba del prato. Sembrava che, a restarla a guardare, sarebbe ricresciuta subito.
E oggi come ieri anche solo passando in macchina in mezzo allo smog di una stradaccia appena fuori città, se sento il profumo dolciastro di erba tagliata devo abbassare il finestrino e rimpirmi i polmoni. Per rivedere i visi dei nonni. Per sentire le loro voci in dialetto. Quel dialetto piemontese che sa un po’ di francese. E l’odore della nebbia. Quella fitta e densa che entra nel naso. Sa di bagnato, di umido, di stufa.
E poi c’è quel suono che richiama ricordi subito vivi appena li si sollecita. Come il fruscio del vento tra le spighe di grano. Che hanno un loro odore: quello della paglia riarsa dopo un’intera estate di sole. Un sentore secco che punge la gola.
E poi i colori. I campi di girasoli mi si stampano negli occhi e nella testa per giorni interi e quando li penso mi appaiono come una lunga carellata di immagini, un collage in movimento. E così accade con i tramonti.
Per mia mamma l’ora del tramonto è quella più triste della giornata perché legata a un suo ricordo di bambina. Un momento che si trasforma addirittura in magone se il tramonto era (è, ancora oggi) accompagnato dal gracchiare della radio che non riceve bene il segnale. E quando penso a mia mamma, che abita lontano da me, nei miei flash lei è tramonto e radio che gracchia. Pelle morbida e fichi maturi caldi di sole. Nebbia, colori sfumati e alberi spogli d’autunno in collina. Torte agli amaretti e creme sul viso prima di andare a letto. Papaveri spampanati lungo i fossi e fiordalisi fioriti nei giorni vicini al mio compleanno.
Tra i ricordi più belli c’è la merenda sinoira (leggete snòira) piemontese. Quando il nonno tornava dai campi, nel tardo pomeriggio (ma in inverno un po’ prima, perché la sera scende presto) io avevo già finito i compiti e lui era affamato. Allora si imbastiva in due minuti una tarda merenda, la merenda della sera, appunto. Si riempiva il buco nello stomaco sino all’ora di cena. E succedeva pure che a cena poi non si avesse più fame, perché tutto ciò che si metteva in tavola era così buono che poi un poco si esagerava sempre. Io sono cresciuta con cacciatorino fresco, acciughe al verde (le acciughe rosse spagnole, quelle sapide e gustose), ravanelli a fettine a bagno nell’olio crudo, un grappolo di moscato appena preso nella vigna, gorgonzola spalmato sui grissini, sòma d’aj (questa ce la prepara anche oggi mio papà e Francesco e io ne siamo golosissimi!), la cognà o mostarda d’uva (fatta in casa!) con la polenta del giorno prima. E poi, se ci si dilungava fino alla cena, la bagna caoda. Quando mia mamma la prepara, gli amici accorrono per assaggiare la vera ricetta. Quella con tutte le verdure crude di stagione (cavolo, cardo gobbo di Nizza Monferrato, rapa, patate, indivia, sedano, peperoni sott’aceto, carote, topinambur (che noi in dialetto chiamiamo patinabò) e che termina alla grande con un uovo fritto nella bagna caoda e, perché no, una spolverata di tartufo. Da bere? Barbera, ma se volete qualcosa di facile beva allora scegliete un Grignolino.
Se volete provare qualcosa di simile, magari proprio uno di quei locali in cui vi portano il tagliere con un cacciatorino intero da affettare, ve ne consigliamo qualcuno da quelli più eleganti a quelli più spartani. Noi, appena siamo in zona, ci facciamo un salto molto volentieri.
A Moleto, vicino ad Ottiglio, c’è il Bar Chiuso (quando piove) e di questo posto particolare scriveremo un post ad hoc. Non lontano, ad Olivola c’è Ca’ Nostra, dove si pranza, si fa merenda e si cena fino a tarda sera sulla piazza del paese. A Nizza Monferrato c’è l’imbattibile cucina a chilometri zero della Signora in Rosso. Tra Abazia e Masio, il Losanna. A questo link si ricorda proprio la nonna. E, aperto da poco, a Rosignano Monferrato vicino alla cantina sociale l’originale A casa di Babette, che è una bella champagneria in stile provenzale: l’occasione per bere ottimi champagne a prezzi democratici. Per tornare all’informale ma di gusto: Casa del Popolo ad Abazia di Masio (per mia mamma e Maria Teresa, al popul dell’Abazia – spero di aver scritto giusto!).
E, gironzolando in rete, ho trovato questo bel link che vi può essere d’ispirazione se una merenda sinora piemontese ve la volete preparare da voi.
Avete qualche luogo dei ricordi, nel Monferrato? O magari qualche posto – vineria, ristorante, trattoria, cantina sociale – da suggerirci la prossima volta che torniamo nel mè Munfrà? Se desiderate fermarvi a dormire in zona, chiedete e vi sarà dato consiglio. Un indirizzo per cominciare: le tre camere color pastello all’agriturismo/ristorante La Commedia della Pentola a Lu Monferrato.
Per chi se lo stesse chiedendo, le foto sono state scattate in tutte le stagioni dell’anno tra Vignale, Rosignano, Nizza, Incisa Scapaccino, Fubine, Masio, Abazia, Oviglio, Ottiglio, Moleto, Olivola.
Paolo Massobrio says
Ma è bellissimo questo racconto. Mi ci ritrovo anch’io, in tutti proprio in tutti i posti che racconti. Brava. Grazie
valigiaaduepiazze says
E’ stato il mio modo di fare gli auguri ad Angioletta per la festa della mamma.
A volte scappiamo lontani, ma questa terra ci richiama sempre a casa.
Ana Cristina Ribeiro Gonçalves says
belle parole, belle foto, desueto trovare la semplicità …delizioso! <3
valigiaaduepiazze says
Ogni tanto si ha bisogno di un ritorno alla semplicità e, per fortuna, il Monferrato ancora oggi conserva in sé questo spirito. Grazie per averci letto.
marisa says
Grazie per questo racconto, atmosfera di profonda umanità ed armonia, belle foto, grazie!
valigiaaduepiazze says
Ciao Marisa, grazie per essere venuta a trovarci. Abbiamo in cantiere un nuovo post, ma con le atmosfere del sud, questa volta.
Torneremo presto anche sul mio Monferrato!
Ale-ricettedicultura says
Bellissimo racconto, meravigliose immagini.
valigiaaduepiazze says
Ciao Ale, grazie! Ogni apprezzamento è motivo di orgoglio. E poi questa è la terra in cui sono nata, i sentimenti sono reali. Spero di averli trasmessi.
Verrò a curiosare sul tuo blog che ha un bel nome (cosa fondamentale!).
A presto!
tanninome says
complimenti, si tratta di un racconto coinvolgente e pur non conoscendo assolutamente il territorio e le usanze da te descritte sono riuscito ad immaginare qualcosa. Grazie.
valigiaaduepiazze says
Grazie a te! Speriamo che presto tu possa visitare e conoscere il Monferrato a cui noi siamo tanto legati.
FABRIZIO PONTI says
Buonasera sono il Sig. Ponti un fotografo di Torino, complimenti x il suo racconto che facile dire bello io userei il termine “emozionale”. Le scrivo x chiederLe se e dove quest’anno posso trovare dei bei campi di girasoli da fotografare. Prevedo di fare il tour martedi 2 luglio. In attesa di una Vs. gentile risposta, saluto cordialmente Fabrizio Ponti – http://www.fotoperarredo.it
valigiaaduepiazze says
Gentile Fabrizio, non le posso dare buone notizie perché i campi di girasole, nei luoghi che conosciamo noi, scarseggiano da due anni. Mi spiace!