Almeno tre o quattro giorni alla settimana, appena uscita da scuola, dalla città si andava in collina. Anche quando la nebbia non faceva vedere ad un palmo dal naso e mia mamma riusciva a guidare solo perché conosce quella strada come se fosse stata lei a disegnarla.
E ci sono degli odori e dei profumi – ma anche dei colori e dei sapori – di quegli anni che conservo nella memoria dei sensi oggi come ieri e appena mi sembra di captarli nell’aria si apre quel prezioso cassetto dei ricordi. Ed è così per sempre. A me capita con il profumo dell’erba tagliata. Sono cresciuta nel Monferrato e dai nonni, con il primo sole, era tutto un tagliare l’erba del prato. Sembrava che, a restarla a guardare, sarebbe ricresciuta subito.
E oggi come ieri anche solo passando in macchina in mezzo allo smog di una stradaccia appena fuori città, se sento il profumo dolciastro di erba tagliata devo abbassare il finestrino e rimpirmi i polmoni. Per rivedere i visi dei nonni. Per sentire le loro voci in dialetto. Quel dialetto piemontese che sa un po’ di francese. E l’odore della nebbia. Quella fitta e densa che entra nel naso. Sa di bagnato, di umido, di stufa.