Ho vissuto per quasi 14 anni a Milano. Da bambina ci andavo ogni tanto con i miei, partendo dal vicino Piemonte. Si andava a vedere il Duomo (ancora c’erano le scritte pubblicitarie luminose sulla piazza e si poteva passare in macchina), lo zoo (che è ormai chiuso dal 1987), il Castello Sforzesco. Quando mi accompagnavano dal dentista, subito dopo mi consolavano con un dolce o un gelato al Motta in piazza San Babila. A 15/16 anni, a Milano, ci andavo per salutare gli amici del mare, per interrompere i mesi invernali. E si passavano le ore nel negozio di Elio Fiorucci in Galleria Passerella (anche questo non esiste più, se non nella sua versione da sopravvissuto) e al Burghy di San Babila (dove ora c’è un McDonald’s). E a 19 anni a Milano ci sono andata in pianta stabile. Prima per l’Università e poi quella che poteva essere una tappa di 4 anni si è allungata perché, lì, ho iniziato a lavorare. Di case ne ho cambiate tre. La prima in zona Gioia, che alla fine degli anni ’90 era davvero alla fine del mondo. Poi in una via residenziale perpendicolare a Viale Indipendenza, quando invece tutti gli amici stavano tra i Navigli e le Colonne. E poi ho comprato la mia casa, dieci anni fa, sul Naviglio Grande. Proprio là dove c’è quella Milano che sa di paese, di fronte alla Chiesa di San Cristoforo al Naviglio.
Calcata magica, borgo di hippies (e streghe)
Ancora una curva, in salita, tra gli alberi, dopo aver lasciato la Cassia bis (la Veientana). E poi eccola, sulla sinistra, quasi sospesa con la vallata intorno. Calcata.
Case brune le cui fondamenta affondano nella roccia tufacea, come un’estensione naturale del colle. Al calare della sera, il borgo si illumina ed ecco il presepe in cui si è inserita una monetina per metterlo in funzione. Oltrepassi il portone d’ingresso e all’improvviso fai un salto all’indietro nel tempo, una cavalcata nel passato. Per le strade, odore di legna bruciata nel camino. Risate che rimbalzano sulle pareti della case e, infilandosi sotto l’uscio delle porte, sfuggono dalle sale e dalle cucine e si rincorrono all’esterno. Un piccolo labirinto di vie strette e ornate di gatti sornioni, di cani che spadroneggiano, di fiori sui balconi. Giri l’angolo e sei a strapiombo sulla valle del Treja. Silenziosa e coperta di boschi disordinati che attutiscono i rumori. E ci si è già scordati di essere a soli 40 km da Roma nord e a 60 da Viterbo.
Il 2013 di Valigia a due piazze, un viaggio lungo un anno
Questo non è proprio il primo post dell’anno, in quello sul Messico c’era un trucco: preimpostato prima della partenza per il Marocco (di cui avete già visto qualche scatto sul mio profilo Instagram @laeli e sulla pagina Facebook di Valigia a due piazze), l’ho poi pubblicato accordandomi con i colleghi de IlGiornale.it, che, come sapete, dallo scorso novembre ci ospita sul suo server.
E quindi eccoci con l’effettivo primo articolo 2014, con cui entriamo nel nostro secondo anno di vita (il compleanno del blog sarà il 3 marzo, annotatelo!). Ripercorriamo con voi i post 2013, con una foto a viaggio, scelta perché più significativa o sull’onda dell’emozione che mi risveglia.
Vi rammento che i viaggi che abbiamo realizzato nel 2013 non corrispondono ai post che man mano avete letto l’anno passato. Quelli li penso, li preparo e poi li scrivo – dopo avere lungamente riordinato gli scatti di Francesco (e qualcuno mio, soprattutto quelli con lo smartphone) – a seconda di ciò di cui ho voglia di raccontarvi. A volte è un’urgenza, a volte mi rendo conto che può essere il periodo giusto per farvi venire voglia di raggiungere una precisa destinazione, altre volte ancora capita che mi venga in mente un episodio che desidero condividere con parole e immagini con voi. E poi sapete che devo fare decantare un viaggio, dopo essere tornati a casa e aver disfatto la valigia a due piazze. Diciamo che l’ordine cronologico mi piace in ogni particolare della mia vita, ma resta fuori da questo blog, che cresce, con amore, in ordine sparso.
30 paesaggi sul mare da sognare (e visitare)
Fin da bambina ho sempre pensato che puoi passare ore e giornate intere a fissare il mare perché non è mai uguale a se stesso. Che si infranga contro alte scogliere o che scivoli come una carezza sulla sabbia scaldata dal sole. Ha forme in continuo cambiamento, se c’è vento, se viene solcato da un’imbarcazione, se un bimbo, sul bagnasciuga, schizza la sorellina incrinando quella distesa di velluto. E ha decine di sfumature che si susseguono l’un l’altra a seconda dell’ora del giorno, della stagione, delle condizioni del cielo. E’ un grande specchio in cui perdersi. A volte è un limpido abbraccio immobile in cui potersi bagnare, spingendosi un po’ più in là, lontano dalla riva. Altre volte si infuria e si gonfia, riversandosi sugli scogli con rabbia. Il mare ha un rumore, ha un odore, ha un colore e ha un sapore. Ed è sempre diverso. Questi sono alcuni dei luoghi di mare che portiamo nel cuore. Sono fotografie impresse prima di tutto nei nostri ricordi. Sono tra le spiagge più belle del mondo. E le condividiamo con voi.
1. Indonesia – La spiaggia di Seminiak, Bali
Piemonte, la Sacra di San Michele
La Sacra di San Michele dal 1994 è il monumento simbolo del Piemonte ed è stata di ispirazione per Umberto Eco che in un monastero ha ambientato Il nome della rosa, giallo storico e deduttivo del 1980 e che io credo di aver letto una decina di volte dagli anni delle scuole medie in poi. Dal romanzo, nel 1986 è stato tratto l’omonimo film per la regia di Jean-Jacques Annaud (impossibile dimenticare Sean Connery nei panni di Guglielmo e il giovanissimo Christian Slater in quelli del co-protagonista Adso). L’idea iniziale di Eco era proprio quella di girare il lungometraggio alla Sacra di San Michele, ma poi la produzione preferì ricostruire tutto negli studi di CineCittà.
Ecco, io la Sacra l’ho sempre vista dall’autostrada. Svettare imponente sulla cima del monte Pirchiriano. Finalmente ad agosto l’abbiamo visitata.
Roma, altri punti di vista – fuori le mura
Dopo il centro storico di Roma, mi sposto appena al di là delle Mura Aureliane per proseguire con i consigli della città fuori dai soliti giri. Ed è subito un ricordo.
Villa Borghese
La sorpresa di Francesco per il mio primo compleanno romano, nel giugno di due anni fa, è stato portarmi in barca sul laghetto a Villa Borghese. Tutti (o almeno tutte) avete immaginato almeno una volta di vedere il vostro compagno destreggiarsi con i remi mentre voi vi godete il lago, il sole e magari pure l’ombra di un ombrellino come in numerose scene del cinema e della tv. Quel giorno siamo scappati dal lavoro all’ora di pranzo e abbiamo noleggiato la barca (la numero 9, come la data del mio compleanno, ma ce ne siamo accorti solo al momento di scendere a terra). Il tempo di prendere confidenza con il mezzo e di non finire in acqua ed eccoci ad esplorare il piccolo laghetto di uno dei parchi cittadini più famosi della città. Eppure quasi nessuno è a conoscenza di questa possibilità: la barchetta si noleggia con 3 euro per una ventina di minuti. Qui gli orari e, navigando sul sito, anche altre informazioni.
Roma, altri punti di vista – il centro
Quando mi sono trasferita a Roma due anni fa, già conoscevo la città. La prima volta mi ci avevano portata i miei genitori nel maggio della prima elementare, a metà degli anni Ottanta. Da allora sono tornata decine di volte. Vuoi per amicizia, vuoi per lavoro. E tutto quello che si deve vedere assolutamente ormai lo conoscevo abbastanza bene. Insomma, Roma non è una città che si nasconde e che cela le sue bellezze. Basta passeggiare in centro e non sfugge quasi nulla. Roma si fa guardare. Vuole essere ammirata. E così ho chiesto a Francesco di andare a scoprire quelle parti meno conosciute, quelle che restano in ombra perché quando si viene a Roma si va al Colosseo, si passeggia per i Fori, si getta la monetina a Fontana di Trevi, si scattano le foto a piazza Navona. Anche noi ci andiamo spesso, ma c’è anche molto altro da fare e vedere, qui.
Boccadasse, a casa di Livia (di Montalbano)
C’è da dire che io credevo che Boccadasse fosse un paese. So che Andrea Camilleri, raccontandoci ogni tanto delle origini liguri di Livia, la fidanzata e compagna di vita del commissario Montalbano, si riferisce a un qualche luogo tra Genova e Recco, ma Boccadasse me l’immaginavo con le caratteristiche della Riviera di Ponente. Tipo Cogoleto, Pietra Ligure. Chissà perché, poi.
E’ bastato cercare in rete – non ci vuole molto in effetti – ed eccola lì, Boccadasse. E’ un antico borgo marinaro (Boca d’azë o Bocadâze in genovese) della città di Genova e confina con i quartieri di Foce e di San Martino. Per arrivarci, vi basterà prendere l’uscita dell’autostrada Genova Ovest, percorrere tutto corso Italia, parcheggiare, scendere al mare. Ecco il borgo e il Capo di Santa Chiara. La sua baia, la sua spiaggetta di ciottoli, che fino a due anni fa era occupata dalle imbarcazioni della gente del posto e che tutt’oggi è territorio dei gabbiani, soprattutto in una giornata di mareggiata e pioggia come è stata il giorno del mio compleanno. Lo scorso 9 giugno.
I mostri di Bomarzo
C’è da dire che quando ho sentito parlare di Parco dei Mostri – tac! – mi si sono drizzate le antenne, perché nutro da sempre una passione morbosa verso tutto ciò che è mostruoso, per i freaks e i gargoyles. Per i luoghi che sanno di mistico. E, questo, è proprio una sorta di percorso di purificazione e di espiazione. Arriva alla fine, al tempietto, solo chi ha superato le insidie delle creature grottesche che si trovano lungo il cammino. Un giardino sospeso tra il sacro e il profano, tra l’ordine e il caos. Immerso in una campagna bucolica, in cui le piante sembrano essere lasciate a se stesse, in cui il rigore dei giardini geometrici all’italiana cede il posto all’improvvisazione della natura.
La doppia Sicilia di Montalbano
L’altra sera ho ricevuto una inattesa telefonata dall’amico con l’accento più siciliano che ho. Da quasi 15 anni vive a Milano, ma non ha perso niente della sua terra nemmeno nel tono di voce. Stefano è di Ragusa e, sentirlo, mi ha dato l’idea per questo post: la Sicilia di Montalbano.
Quello che abbiamo conosciuto nella serie tv della Rai, ambientato appunto tra Ragusa, Modica e Scicli, e quello come lo immagina Andrea Camilleri quando ne descrive le avventure che si svolgono tra Agrigento e Porto Empedocle, ma che nei libri diventano Vigata, Montelusa, Marinella.