Forse una giornata così fredda e con una tramontana così violenta come quel giorno, non se la ricordavano proprio, i residenti di Castel Gandolfo. E noi, partiti da Roma con qualche nuvola ma anche con 15°, non ci aspettavamo schiaffi gelidi in faccia, appena scesi dalla macchina.
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Ávila, dormire in un Parador
Arrivare in macchina ad Ávila di notte è come entrare in una fiaba. Da un momento all’altro, si apre la vallata e là in fondo, sul punto più alto, le mura turrite illuminate. Occhio a non distrarvi, perché è davvero uno spettacolo. Fermatevi a lato della strada e scattate qualche foto, ne vale la pena.
Abbiamo scelto Ávila, a 120 km da Madrid nella regione di Castiglia e León, come meta di uno dei nostri primi viaggi insieme. Perché si può visitare in un paio di giorni (aggiungendo un giro in giornata anche a Toledo, a 140 km, attraversata dal fiume Tajo), perché avevamo trovato un’offerta intelligente con un volo da Roma, perché cadeva bene un ponte e ne abbiamo approfittato, perché siamo andati a trovare una coppia di amici spagnoli di mio marito. Soprattutto perché volevamo visitare la città che ha dato i natali a Santa Teresa d’Avila.
A dire il vero non ci dedichiamo al turismo religioso (si chiama così? se sì, suona male), ma c’è una spiegazione e, forse, anche qualcosa di spirituale. Santa Teresa è il giorno 15 ottobre, giorno di nascita della mia nonna materna a cui io ero molto legata. Ecco perché sua mamma, la bisnonna veneta Maria – mancata centenaria quasi 20 anni fa – è stata sempre devota a Santa Teresa.
Francesco, sebbene non mi conoscesse ancora bene, ha capito al volo (ecco uno dei motivi per cui ci siamo sposati nel giro di tre mesi, ma questo è argomento di un altro capitolo) e così abbiamo organizzato il viaggio.
Volo Roma-Madrid (con Easyjet), Smart affittata – su consiglio del cugino di Francesco – da Pepecar Madrid, proprio in centro città, poi via verso il nostro Parador.
Civita, la città che muore
Si fa presto a dire “andiamo a fare un giro da qualche parte”, la domenica mattina. Molto meglio dormire un po’ di più – mio marito -, bighellonare per casa – io -, prendersi più coccole del solito – Margherita, la nostra Bolognese di 4 anni e mezzo, una figlia, insomma -. E poi ci si trascina, lenti, a fare un brunch.
Eppure ogni tanto questa pigrizia domenical/invernale riusciamo a vincerla. E’ successo così un paio di settimane fa e siamo andati a Civita di Bagnoregio, un’ora e mezza di macchina da Roma. Al confine tra Lazio e Umbria, non lontana da Orvieto.
Civita è conosciuta come La città che muore – che fa un po’ triste, ma la rende pure più magica – perché è isolata su rocce tufacee e la vallata intorno continua a sprofondare un po’ ogni giorno.
Civita di Bagnoregio ricorda un presepe, in particolare al tramonto, quando si accendono le prime luci, ed è raggiungibile da un lungo ponte che collega Bagnoregio e il belvedere a Civita, la sua frazione.
I residenti nel borgo che muore sono sei. Ho detto tutto.
Ancora più suggestivo è trovare Civita immersa nella nebbia. Sembra un’isola. Sembra Avalon, nelle mie fantasie di bambina. Qui un esempio.