Certo, dalla foto non lo direste proprio, eppure ci sono giornate che nascono sbagliate (e allora si sta un po’ allerta) e altre che ingannano perché iniziano bene e all’improvviso si trasformano in un (mezzo) disastro. Mi riferisco ai due giorni (addirittura consecutivi!) che hanno messo alla prova la pazienza già scarsa che abbiamo Francesco e io, ma ancor più, gli ultimi giorni di vacanza di un viaggio che abbiamo amato moltissimo e che sarà argomento di numerosi post. Quello in Irlanda e Irlanda del Nord.
Puglia, un tramonto a Trani – e un’alba a Castel del Monte
Tramonti. Per anni, uscendo dal lavoro, ho avuto la fortuna di vedere ogni sera il Duomo di Milano tinto di rosa. E, sulla strada di casa, il sole calante dietro alle case del Naviglio Grande. Adesso, a Roma, il sole, quando sono a casa, lo vedo tramontare dietro ad un grande parco, scomparire a poco a poco infuocando le punte degli alberi. Vi ho già parlato di un bellissimo tramonto all’Eur. Un altro tramonto che ho nel cuore è quello che vidi una sera a Trani con Francesco.
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Cinque Terre, la Via dell’Amore
La Via dell’Amore non è mai stata molto fortunata. Creata intorno al 1920 per poter costruire il tratto ferroviario (quasi tutto in galleria) La Spezia-Genova, è poi piaciuta così tanto ai liguri e ai turisti che, dopo averla ampliata, è diventata la famosa passeggiata a picco sul mare che collega Riomaggiore e Manarola, due delle Cinque Terre. Però, nella sua breve vita, è rimasta chiusa troppo a lungo. Ogni volta una spiegazione: costi alti, va messa in sicurezza, le priorità del luogo sono altre, le pareti franano. Ed è vero e tutti siamo a conoscenza dell’incidente del settembre del 2012.
Questa bonifica della strada va fatta. Non si può lasciare chiusa la Via dell’Amore, uno dei panorami più belli d’Italia. Non si può lasciare in disparte una zona incantevole della Liguria, che ha sempre richiamato turisti da tutto il mondo.
Ora, se non conoscete questa parte di mare d’Italia, vi mostriamo noi qualche scatto e trarrete voi le conclusioni.
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Milano in movimento
Questa canzone già è bella di suo per New York, riadattata a Milano mi fa venire i brividi.
Biciclette, bicchieri in mano e case giallo Milano? Siete sui Navigli |
Milano che cambia
Il Naviglio Grande uscendo da Milano |
Per me un posto non vale l’altro. Anche per mangiare un panino. E non è questione di essere schizzinosi o di fare la preziosa, visto che a Istanbul (spero presto in un post) mi sono divorata un balik ekmek cucinato su una griglia che immagino non sia stata mai pulita (e per questo ha dato un sapore ottimo al pesce) sotto al ponte di Galata.
Torniamo a noi. Anche un semplice pranzo o un tè hanno la loro importanza. Se gustati nel posto giusto, hanno un altro senso.
Io sono una di quelle che si segna i locali di cui legge sfogliando i giornali (strappo le pagine, per essere precisa, perciò casa nostra è invasa da carta – quasi – straccia che solo negli ultimi periodi sto cercando di riordinare in raccoglitori ad hoc) e che fa screenshot del cellulare se trova un indirizzo interessante curiosando su Instagram. Insomma, non vorrei mai perdermi il meglio.
E’ così a Roma, la città in cui viviamo. Ed è così quando torniamo a Milano, la città in cui ho vissuto per tredici anni e dove abbiamo una casa (il mio nido sul Naviglio Grande) come riferimento e soprattutto come base. O anche quando passiamo per Torino, città a cui voglio molto bene (ma questa sarà la storia di altri post).
Torniamo su Milano. Che ogni volta cambia (e che ha sempre qualche novità da propormi).
La chiesa di San Cristoforo sul Naviglio davanti a casa |
Londra, Camden Town e i miei (primi) anfibi
Per me, sono passati gli anni degli anfibi, lo so (dite di no? dite di no?! ripetetelo più forte!). Sono passati da una quindicina d’anni. Quando tra la fine delle medie e l’inizio delle superiori, le mie compagne di classe li indossavano neri o viola melanzana e io li avrei desiderati tanto. Tanto. Ma non c’era verso di farmeli regalare dai miei genitori, che li consideravano il male. E così non osavo neanche insistere, come invece ho fatto (per molti anni) con tutto quello che mi piaceva e poi, da brava figlia unica, sapevo che presto o tardi avrei ottenuto.
E poi pure all’università. Forse solo nei giorni di pioggia, perché dove andavo io erano tutte pettinate, le ragazze. La sottoscritta arrivava a lezione dopo autobus e metro e molte delle altre entravano in aula con la piega da parrucchiere, la giacchettina bella stirata. E mi ritrovavo, di nuovo, a invidiare ‘sti anfibi. Le rendevano un po’ grunge, un po’ rock.
E poi, con il tempo, li ho sempre trovati un di più, una cosa inutile e, via, non li ho mai comprati.
Tutto questo ha avuto un senso, poi siamo stati a Camden Town. Il Regno degli anfibi.
Eh sì, nella prima foto li vedete ai miei piedi. Finalmente.
Londra, la sorpresa di un raggio di sole
Non tutti viaggiamo con lo stesso spirito. Conosco molte persone che lo fanno solo per dire, al ritorno e davanti agli amici, “sono stato lì” (implicitamente significa “sono uno tosto perché me lo posso permettere”). Ne conosco altrettante per le quali non c’è differenza sia che si trovino a sorseggiare fresco succo di papaya in piena foresta Amazzonica, sia che stiano assaggiando tapas in un baretto lungo la spiaggia di Barceloneta. Intanto sono focalizzati solo sul portare in giro se stessi, senza mettersi in gioco con quello che li circonda, con il modo di vivere, senza respirare davvero l’aria che li circonda. Conosco chi resta chiuso come se fosse a girarsi i pollici sul divano di casa anche trovandosi dall’altra parte del mondo e chi non sa stupirsi davanti a una notte infinita come possono essere quelle estive in Svezia o quando, dopo ore di scomodi pullman e di sudore dei vicini di posto, si trova faccia a faccia con i camini delle fate in Cappadocia, in Turchia.
Bene, io faccio parte di quelle persone che se non entrano dentro alle fibre di una città, nelle viscere di un luogo, allora hanno sbagliato l’approccio del viaggio e rischiano di non portarsi a casa un bel niente. E ci soffrono.
E mi è successo.
Ad esempio con Londra, che non ho amato fino a quando non ci sono stata con Francesco.
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Berlino, cenare nella cupola del Reichstag (e 10 cose da vedere)
Detesto aspettare. Stare in coda.
Soprattutto in vacanza (in realtà sempre). Mi sembra di perdere tempo, di buttare via momenti preziosi che avrei potuto utilizzare in altro modo.
Avete presente quando non ci si muove nemmeno di un passo per minuti che sembrano ore e ci si gira per vedere quanto è aumentata la ressa dietro di noi, per consolarci e trovare una ragione valida nello stare lì, fermi, sperando in una accelerata improvvisa? In questi casi, di solito, l’unica cosa che scorre è il tempo.
Allora basta! Dopo aver rinunciato a vedere alcuni posti (mangiandoci poi le mani), Francesco e io abbiamo imparato a muoverci in anticipo, prenotando ingressi, visite, cene, spettacoli. Ormai si può fare un po’ dappertutto. Anche per il Museo del Louvre, a Parigi, non abbiamo atteso un solo minuto (ho aggiunto questa frase solo per rimandarvi ad un altro post, lo confesso).
Questa premessa per suggerirvi un modo per entrare nella cupola di vetro del Reichstag a Berlino, gratis e sbeffeggiando la fila che si snoda sulle scale che danno in Platz der Republik.
E’ semplice: basta andare a cena nel ristorante del Reichstag. Che non è niente male.
Un giorno di tramontana a Castel Gandolfo
Forse una giornata così fredda e con una tramontana così violenta come quel giorno, non se la ricordavano proprio, i residenti di Castel Gandolfo. E noi, partiti da Roma con qualche nuvola ma anche con 15°, non ci aspettavamo schiaffi gelidi in faccia, appena scesi dalla macchina.
Il giardino segreto di Ninfa
Forse è una lettura più da femmina, ma di sicuro molti di voi negli anni delle medie avranno letto Il giardino segreto, romanzo di inizio Novecento di Frances H. Burnett.
Quando, quell’ottobre, siamo entrati nel Giardino di Ninfa, ho avuto l’impressione di essere stata catapultata tra le pagine di quel vecchio libro, che ancora mi viene sotto mano, a casa dei miei genitori, tra appunti e diari nella mia camera. Ormai venti anni fa e più, mi piacque molto: l’avevo letto alla fine di una estate, quando si è particolarmente malinconici e si stanno per rivedere i compagni di scuola, salutati a giugno e di sicuro cambiati nei tre mesi di lontananza.
Così me l’immaginavo e così l’ho trovato davvero, tra Norma e Sermoneta, nel comune di Cisterna di Latina. A un’ora di macchina da Roma.
Ho sempre sognato di scattare una foto così |