Del giorno prima non ricordo quasi niente, se non i fuochi accesi lungo le strade dei quartieri residenziali di Nuova Delhi, là dove dormono all’addiaccio i fuori casta, gli intoccabili. Arrivando in piena notte, la nostra macchina correva verso l’hotel, scansando le ombre in lento movimento, e nei miei occhi si sono fissati per sempre quei roghi nel buio. Il giorno dopo siamo partiti con un volo all’alba per Jodhpur e il nostro aereo si è sollevato nella compatta e fredda nebbia di Delhi. E ci siamo ritrovati a percorrere centinaia di chilometri passando dall’oasi di Osyan verso Jaisalmer, The Golden City, là dove il Rajasthan confina con il Pakistan. Là dove l’aria è fredda di deserto. E’ stato lì che abbiamo avuto il primo contatto con gli intoccabili. Loro non possono entrare nel forte di sabbia di Jaisalmer, siedono all’ingresso, in attesa di un’elemosina o adoperandosi in qualche spettacolo che porti loro un piccolo guadagno. A volte vendono ninnoli e attendono: più che seduti, accovacciati. In una posizione scomoda. Questo è un ricordo che mi è rimasto bene impresso da quel lungo viaggio in India: gli indiani si riposano e aspettano piegati sulle gambe, con solo le piante dei piedi che poggiano terra e il sedere sprofondato all’indietro, rasoterra. Ricordo un’anziana donna, elegante nel suo sari viola, turchese e arancione, seduta sulla strada in salita che porta al forte di Jaisalmer. Ero ancora lontana da lei e le ho sorriso, sembrava una signora che di lì a poco sarebbe tornata a casa a preparare il pasto alle famiglia, ai nipoti che – con le uniformi tutte uguali – tornano da scuola correndo, gesticolando e parlando a voce troppo alta. Mi sono avvicinata ed era una lebbrosa. Ho messo a fuoco i capelli spettinati, lo sguardo senza speranza di chi aspetta di morire augurandosi che la prossima vita sia benevola e la latta per l’elemosina. Era un’intoccabile, una senza casta. Le mancavano le dita delle mani. Ho forse fatto un salto indietro, non lo so, non ero preparata. Da quel momento mi sono resa conto che ero davvero arrivata in India.
L’incredibile forte di Jaisalmer è fatto di sabbia e si confonde con le piatte dune del deserto su cui poggia. Dopo aver rischiato di crollare a causa delle infiltrazioni dell’umidità, è stato messo in sicurezza e oggi è l’unico forte dell’India ancora abitato. All’interno i suoi vicoli sono stretti e tortuosi e bisogna schivare vacche sacre, tori per fortuna mansueti, motorini che circolano a una velocità troppo elevata e gruppi di maiali selvatici che grufolano nella sporcizia. Eppure, tra cartelli acchiappa-turisti e muri scrostati, è l’eleganza e la raffinatezza delle costruzioni a lasciare a bocca aperta. Ogni porta ha un suo colore, un decoro differente dal vicino. E ci si perderebbe ore, in quel labirinto. Quando è illuminata dal sole, Jaisalmer diventa davvero la Città dorata.
Da Jaisalmer mi sono portata a casa quattro storie. Ho imparato che il primo figlio di Śiva e Parvati, Ganesha, il dio induista raffigurato con la testa d’elefante con una sola zanna e con quattro braccia, sempre in compagnia di un topo, suo veicolo, è il protettore del matrimonio. Così, a Jaisalmer è semplice scoprire in quali case si è da poco celebrata un’unione, perché Ganesha (o Ganesh) se ne sta seduto sulla porta di casa a vegliare sulla nuova famiglia.
Ho scoperto che i matrimoni tra caste differenti sono mal visti e quelli con persone non indiane e non induiste nelle zone più conservatrici dell’India, come Jaisalmer appunto, sono addirittura proibiti. Se ti sposi con uno straniero, lo fai a tuo rischio e pericolo. La famiglia non vuole più avere niente a che fare con te. E se uno dei genitori o un parente incontra colui il quale ha scelto questa strada, lo fa di solito di nascosto per non farsi vedere dagli altri concittadini, perché l’intera famiglia potrebbe essere esclusa dalle attività della comunità. E così abbiamo saputo che un giovane si è innamorato di una straniera che a Jaisalmer aveva comprato una palazzina che stava crollando per rimetterla in ordine e farci un bed & breakfast. I due si sono sposati e oggi che l’edificio non solo è stato rimesso in ordine, ma è delizioso, gli sposi, che attualmente vivono all’estero, vorrebbero tornare nel Rajasthan per avviare la loro attività, ma a Jaisalmer nessuno glielo permette e sono ancora oggi osteggiati da tutti, dopo anni.
A Jaisalmer abbiamo conosciuto Prakash, una guida che parla un italiano così forbito che è un piacere stare ad ascoltarlo. Prakash appartiene alla casta dei bramini. In India il sistema delle caste è rigido e netto e stabilisce, alla nascita, il destino di un uomo per tutta la sua esistenza. Non si può passare da una casta all’altra durante la vita, si attende quella successiva. All’apice della piramide delle caste indiane ci sono i bramini (brahmani) che rappresentano i sacerdoti e hanno il dono della parola, perciò non fanno lavori manuali. Il gradino appena sotto è quello dei kshatriya, i guerrieri. Poi i vaishya che sono i contadini, i mercanti e gli artigiani che sostengono le due caste superiori con il loro lavoro. La casta più bassa è composta da shudra, i servitori, i meno puri tra tutti, ma i più numerosi in India.E poi ci sono gli impuri, i fuori casta, gli intoccabili: chi appartiene a una casta si rifiuta di sfiorarli e non sono degni di essere considerati. E’ molto difficile che un fuori casta alzi gli occhi per guardarvi in faccia. E qui ci rifacciamo alla storia precedente: se si nasce da un uomo shudra (un servitore, non schiavo!) e da una donna bramina, quel figlio sarà un intoccabile. Tra loro i senza casta si chiamano dalit, gli oppressi.
Ma torniamo a Prakash. Le donne di solito sono considerate inferiori ai servitori, anche se nascono da famiglie bramine. Il loro destino è legato alla dote che la famiglia concede loro per il matrimonio. Solo una buona unione può permettere loro di vivere una vita sicura. Se infatti restano vedove è poi la comunità a doversi prendere cura di loro, ma fino a non molti anni fa per non cadere in disgrazia le donne preferivano gettarsi vive nella pira del marito pur di non vivere una vita indegna da mendicanti. Ma questa è un’altra storia che verrà a suo tempo, quella della sati, il sacrificio ultimo della vedova. Prakash ha tre figlie. La più giovane è di una straordinaria bellezza e la sua preoccupazione è quella di poter concedere una degna dote a tutte e tre. Con grande tristezza, ma anche orgoglio, ci ha raccontato che, proprio per la sua avvenenza, il matrimonio combinato della figlia più piccola potrebbe necessitare di una dote minore perché ha un peso – oltre al fattore economico – anche la bellezza della sposa. Quando poi siamo andati insieme a lui sul colle delle cremazioni, da cui si gode di una vista straordinaria di Jaisalmer al tramonto, ci ha mostrato le ceneri delle ultime pire che si erano spente da poco. Prakash ci ha raccontato che anche sua nonna, di famiglia bramina, quando è rimasta vedova si è gettata tra le fiamme, come una sati, per morire con il marito pur di non rappresentare un peso per la società ed essere esclusa da tutto.
E l’ultima storia riguarda una bambina di sette anni di cui non so il nome, ma i cui occhi neri mi sono rimasti nel cuore. Il viaggio in India, come ho già raccontato qui, ti ruba qualcosa della tua vita, ma in cambio ti regala una lettura nuova della realtà, se sei arrivato preparato, se il tuo cuore non è duro, ma ha uno spazio per un seme che possa germogliare.
Questa bambina è la prima di quattro fratelli ed è un’intoccabile. Non può entrare nel forte di Jaisalmer perché le è proibito e mantiene tutta la sua famiglia facendo la funambola sotto le mura della città vecchia ad alcuni metri da terra e senza alcuna protezione, se non la prontezza dei riflessi del padre che non le toglie gli occhi di dosso e sta ad alcuni passi da lei. Ho regalato alcuni dolci e una scatola di pennarelli lasciandoli alla madre. La bambina ha continuato a piroettare sulla fune, ha solo piegato gli angoli delle labbra all’insù in un sorriso triste, ma sfiorato dalla gioia di un istante. Non so se i fratelli le abbiano lasciato una caramella. Non so se ha mai avuto tempo di colorare o di fare un disegno con quei pennarelli. Non so se da quella fune è mai scivolata. Spesso la penso e so che anche oggi e domani sarà lì ad attendere la prossima vita, come tutti gli intoccabili.
TIPS
- Fate riposare l’udito affaticato dal traffico cittadino. Lasciate la città vecchia e il Golden Fort di Jaisalmer. Salite sui tetti di uno dei vecchi caffè subito fuori le mura e godetevi del panorama inondato di luce.
- All’interno del forte si trovano sette templi giainisti in arenaria gialla che risalgono al XV e XVI secolo. Andate a visitarli (nei templi giainisti è obbligatorio togliere le scarpe, portate calze pesanti e – se le avete – antiscivolo), come come il Laximinarayan Temple, tempio hindu.
- Serve un driver, per arrivare al Sunset Point, la collina in cui si svolgono le cremazioni. Al tramonto la città di sabbia di Jaisalmer diventa d’oro.
- Il driver sarà necessario anche per arrivare al Gadisar Lake, a qualche chilometro da Jaisalmer. Anche qui arrivate al tramonto, quanto tutto diventa pastello (foto di apertura).
- Lungo la strada tra Jodhpur e Jaisalmer fate una sosta nell’antica città del Deserto del Thar, Osiyan, per il Mahavira Temple e per il Sachiya Mata Temple. In quest’ultimo tempio le donne che esprimono un desiderio, legano un laccio rosso alle statue. Assaggiate un tè all’Osian Dunes Recreation Camp.
Per altri articoli sull’India del Nord:
Arianna says
Buongiorno,poiché con la mia famiglia stiamo organizzando un viaggio in Rajasthan, Varanasi e Agra, ho letto con molto interesse i suoi accurati e illuminanti reportage, ma non sono riuscita a trovare i nomi degli hotel dove avete soggiornato e come vi siete trovati. Le sarei grata se mi indicasse il post in cui li ha indicati, essendo indecisa sulla sistemazione da scegliere, pur essendo consapevole di dovermi attenere ad un livello abbastanza elevato. Grazie
Arianna ”
valigiaaduepiazze says
Qui ci sono altre informazioni, Arianna! https://valigiaaduepiazze.ilgiornale.it/2015/06/come-organizzare-un-viaggio-in-india-quasi-fai-da-te/