Non tutti viaggiamo con lo stesso spirito. Conosco molte persone che lo fanno solo per dire, al ritorno e davanti agli amici, “sono stato lì” (implicitamente significa “sono uno tosto perché me lo posso permettere”). Ne conosco altrettante per le quali non c’è differenza sia che si trovino a sorseggiare fresco succo di papaya in piena foresta Amazzonica, sia che stiano assaggiando tapas in un baretto lungo la spiaggia di Barceloneta. Intanto sono focalizzati solo sul portare in giro se stessi, senza mettersi in gioco con quello che li circonda, con il modo di vivere, senza respirare davvero l’aria che li circonda. Conosco chi resta chiuso come se fosse a girarsi i pollici sul divano di casa anche trovandosi dall’altra parte del mondo e chi non sa stupirsi davanti a una notte infinita come possono essere quelle estive in Svezia o quando, dopo ore di scomodi pullman e di sudore dei vicini di posto, si trova faccia a faccia con i camini delle fate in Cappadocia, in Turchia.
Bene, io faccio parte di quelle persone che se non entrano dentro alle fibre di una città, nelle viscere di un luogo, allora hanno sbagliato l’approccio del viaggio e rischiano di non portarsi a casa un bel niente. E ci soffrono.
E mi è successo.
Ad esempio con Londra, che non ho amato fino a quando non ci sono stata con Francesco.
Londra è una di quelle città che possono farci sentire esclusi. Perché è grande, complessa e in continua evoluzione. Si fa quasi fatica a starle dietro, a tenere il passo. E ogni volta che si torna, la skyline è cambiata, c’è qualcosa di nuovo. Provate, a distanza di qualche mese, ad andare nella zona del Bankside, nel quartiere di Southwark. Tra nuovi palazzi specchiati che riflettono case antiche, linee rette e curve, punte che sembrano davvero grattare il cielo e baluginii sull’acqua del Tamigi, lì, Londra cambia sempre faccia.
Ma andiamo con ordine. Perché ho iniziato ad amare Londra? Perché le ho permesso di entrarmi nella pelle, con un processo di osmosi. Ho preso il (tanto) bello che c’è, che a volte è nascosto, come il sole, dietro alle nuvole. |
Bisogna camminare (anche se piove e tira vento), ragionare, scegliere delle priorità (sappiamo bene che i giorni di vacanza disponibili sono sempre troppo pochi). Che vi devo dire, io non sono da Piccadilly Circus o da Covent Garden. Francesco lo sa e noi non abbiamo resistito alla Londra in fiore, ai parchi, alla città verde, romantica (a breve in un post). E a Camden Town.
Da dove abbiamo cominciato? Dalla scelta dell’albergo. Quello in cui ero stata l’ultima volta – quella disordinata – per non lasciare nulla di interrotto. La zona è bellissima, è la Londra che t’aspetti di trovare: Earls Court, tra Kensington e Chelsea.
Siamo stati al Mayflower Hotel in Trebovir Road, a cento metri dalla stazione della metropolitana di Earls Court (si fermano la Circle Line, gialla; la District Line, verde; la Piccadilly Line, blu). E, per di più, zona che Francesco non conosceva e che gli è piaciuta immediatamente (ho vinto facile). |
marco says
Come hai ragione, Elisa. Londra e’ una di quelle citta’ dove puoi sentirti davvero solo. E’ vasta, e’ veloce, e’ assordante’, e’ sempre in movimento, si trasforma in continuazione. Non puoi tenere il passo. Così, dopo tempo che segui il ritmo, hai bisogno di fermarti un attimo per prendere una boccata d’aria, per riprenderti dal senso di vertigini che la giostra ti ha causato. Anche a me e’ successo, forse piu’ di una volta, di sentirmi smarrito a Londra, ma me ne ricordo una in particolare. Fermata Oxford Circus, tardo pomeriggio. Era’ gia’ buio, faceva freddo e piovigginava, non troppo ma quanto basta perche’ le luci delle macchine e dei lampioni si specchiassero nella strada bagnata. Ero davanti all’Apple Store di Regent Street. Fermo impalato, con il naso all’insu’ , le gocce che mi bagnavano il volto e dentro, un grande vuoto. Una sensazione di vuoto cosi profonda non l’avevo mai provata. In quel momento ero orfano. Londra mi aveva abbandonato, non le appartenevo più’.
valigiaaduepiazze says
Ah, come hai colto in pieno la sensazione, Marco! Vero è che ci conosciamo e sotto alcuni punti di vista siamo simili. I primi anni a Milano ho provato la stessa cosa: sentivo che la città non mi apparteneva, ero un’esclusa. E tutti gli altri sembravano così integrati. Poi, tenendo duro, anch’io sono stata accettata e amata da Milano.
E ho amato Londra, prendendola per il verso giusto.
Immagino che avrai riconosciuto, nell’elenco, il locale in cui siamo andati a cena insieme: hamburger vegetariano 🙂
Un abbraccio e seguici, perché mi fa tanto piacere.
Giovanna says
Apprezzo come scrivi, sono sicura di tornare
qui a leggere ancora nuovi post
valigiaaduepiazze says
Ti ringrazio molto, Giovanna. Spero al più presto di tornare con la nostra valigia a due piazze a Londra. Forse tra un paio di mesi 🙂