Certo, dalla foto non lo direste proprio, eppure ci sono giornate che nascono sbagliate (e allora si sta un po’ allerta) e altre che ingannano perché iniziano bene e all’improvviso si trasformano in un (mezzo) disastro. Mi riferisco ai due giorni (addirittura consecutivi!) che hanno messo alla prova la pazienza già scarsa che abbiamo Francesco e io, ma ancor più, gli ultimi giorni di vacanza di un viaggio che abbiamo amato moltissimo e che sarà argomento di numerosi post. Quello in Irlanda e Irlanda del Nord.
Gli ultimi giorni di una vacanza sono i più delicati perché si respira aria di fine, qualcosa che si chiude, non si ha voglia di lasciare la spensieratezza che regalano le giornate lontani dal lavoro e dai più o meno piccoli problemi del quotidiano. E soprattutto si ha il desiderio violentissimo che tutto fili liscio, quasi con il timore che gli ultimi giorni possano marchiare una vacanza NO all’ultimo minuto. Insomma, la malinconia fa capolino.
Quando si viaggia in Irlanda si deve essere preparati a improvvisi cambiamenti di tempo. Anche tre o quattro volte nell’arco di una mezzora o, se si è su un mezzo, di pochi chilometri. Questo lo sapevamo e siamo stati in guardia tutta la vacanza. Con giacche impermeabili, cambio di scarpe, ombrello e cappello da pioggia sotto mano e sempre nella macchina che avevamo a noleggio. Tranne quel giorno al Carrick-a-Rede.
Si tratta di un ponte di corde lungo una ventina di metri e sospeso a 30 metri sul mare. Collega la terraferma con un isolotto che ora è più che altro turistico (e una delle maggiori attrazioni dell’Irlanda del Nord), ma già dal 1784 era in uso perché si trova sulla rotta dei salmoni atlantici che tornano a deporre le uova nel fiume natale (informazioni prese dal sito Irlandando, che è stato fonte d’ispirazione per il nostro lungo viaggio irlandese). E’ tutto molto suggestivo, anche perché la passeggiata per raggiungerlo, dall’ingresso/biglietteria, è di oltre un chilometro, si affaccia sul mare e nella natura.
Il cielo, quel giorno, era spaccato a metà. Sulla nostra sinistra, quindi ce lo lasciavamo – ci sembrava! – alle spalle, nuvoloni e pioggia in lontananza, luce quasi metallica. Sulla nostra destra, la direzione che seguivamo per raggiungere l’isolotto, mare caraibico e cielo terso. E non ci siamo portati niente per ripararci da improvvisi scrosci d’acqua. Niente. Nell’entusiasmo di percorrere quella bella strada e di scattare centinaia di foto.
E, sempre presa dalla bellezza del luogo, non ho realizzato che avrei dovuto passare sopra un ponte di corde sospeso nel vuoto. Io soffro di vertigini. Roba abbastanza seria. E ve ne ho già parlato quando vi ho raccontato dell’elicottero per volare su Manhattan. Quando mi sono trovata davanti la passerella di legno e corda, ho capito che non ce l’avrei fatta. Vado proprio fuori di senno, mi tremano le gambe, come succede a Margherita, la nostra cagnolina, quando per sbaglio finisce sopra un tombino e sente il vuoto. Insomma, il panico. Ho guardato Francesco e, con gli occhi sbarrati, ho solo scrollato la testa e mi sono allontanata. Via di litigata. Che cosa vi devo dire, mi ero illusa di farcela, fino a che non mi sono trovata lì davanti. Non avrei potuto mettere neanche un piede su quel ponticello oscillante. E vi assicuro che passavano bambini correndo (anche se non dovrebbero) e anziani signori molto tranquilli. Si fermavano pure a metà per scattare qualche foto. Io non l’avrei mai fatto. E non l’ho fatto! Invece Francesco si è avventurato. E, appena ha raggiunto l’altra parte, è iniziata la pioggia più abbondante e violenta che io mi sia mai trovata a dover affrontare senza la minima possibilità di riparo.
Secchiate di pioggia così violente che non permettevano di respirare, non si riusciva a vedere a un palmo dal naso, la gente era come stordita dalle raffiche di acqua e vento. Il sentiero si è trasformato in pochi secondi in un fiumiciattolo di fango scivoloso e impercorribile. Si cercava di tornare verso la macchina con abiti così imbevuti d’acqua da non riuscire a muoversi. Io avevo una gonna lunga di jeans che sarà pesata cinque chili. Ma mio marito aveva un solo pensiero: la sua macchina fotografica. Qualcuno lassù, per fortuna, gli aveva consigliato di portare lo zainetto e almeno quella si è salvata dal nubifragio, altrimenti avremmo dovuto dire addio a tutti gli oltre mille scatti fatti fino a quel momento (ma la macchina fotografica tornerà a breve protagonista delle nostre sventure).
Arrivati al parcheggio, splendeva il sole. Caldo, caldissimo. E i turisti che arrivavano al sito in quel momento guardavano questa cinquantina di pazzi bagnati fradici chiedendosi, probabilmente, se ci fossimo buttati vestiti dalle scogliere. L‘Irlanda è così: non ti dà mai segnali sul meteo che sarà. E la nostra giornata è finita a metà, perché siamo rientrati il più velocemente possibile a Derry, dove abbiamo fatto base per qualche giorno: una cinquantina di chilometri di strada. Abbiamo guidato quasi nudi, con il terrore che ci fermassero chiedendoci spiegazioni. La seconda tappa avrebbe dovuto essere la Giant’s Causeway, ma abbiamo dovuto posticipare al giorno dopo.
Siete stati al Carrick-a-Rede Rope Bridge? Avete avuto qualche avventura sotto la pioggia? Consiglio: anche se soffrite di vertigini, la passeggiata lungo la scogliera vale la visita (e il biglietto, per un adulto sui sei pound). Qui le informazioni utili. E ora andiamo alla Giant’s Causeway.
[…] a meno, visto che sono conosciuta tra gli amici come quella che soffre di vertigini (vedere il Carrick-a-Rede Rope Bridge), quella che sente il vuoto come gli asini, quella che da bambina al massimo andava sul brucomela e […]