Se cercate l’Eden, almeno come lo intendiamo noi, allora non lo troverete a Varanasi. Un viaggio in India, e ancor più in una delle più antiche città del mondo, Benares, Banaras, Kashi o come la si desideri chiamare, è un’esperienza di vita. Le vostre scarpe devono essere chiuse e robuste e il vostro cuore aperto, ma anch’esso robusto, perché lo metterete di certo a dura prova nel labirinto di strade di Varanasi e sulle rive del fiume Gange, Ganga Maa, dea vivente, il luogo più sacro per gli induisti. Eppure forse quello che noi riusciamo a vedere almeno all’inizio è solo un forno crematorio a cielo aperto.
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Che cosa significa viaggiare in India. “Lion – La strada verso casa”
Quando mi chiedete cosa significa organizzare un viaggio in India, io rispondo che l’India è un continente a sé, per la sua vastità. E l’India è anche un mondo a sé, per quanto è diversa da ciò che viviamo. Nelle sale in questi giorni c’è un film, Lion – La strada verso casa, tratto dalla storia vera di Saroo Brierley, un bambino che si perde nel Madhya Pradesh a cinque anni e che si trova catapultato a 1.484 chilometri da casa, nella caotica e poverissima Calcutta, nel Bengala Occidentale. Dopo un periodo in un orfanotrofio e l’adozione da parte di una famiglia amorevole che lo porta a vivere in Tasmania, vent’anni dopo si rimetterà sulla strada di casa e sulle tracce della sua famiglia. La storia vera è raccontata da The Sydney Morning Herald del 24 marzo 2012: Little boy lost, a 25-year odyssey.
Jailsalmer, India: nel deserto del Rajasthan al confine con il Pakistan
Del giorno prima non ricordo quasi niente, se non i fuochi accesi lungo le strade dei quartieri residenziali di Nuova Delhi, là dove dormono all’addiaccio i fuori casta, gli intoccabili. Arrivando in piena notte, la nostra macchina correva verso l’hotel, scansando le ombre in lento movimento, e nei miei occhi si sono fissati per sempre quei roghi nel buio. Il giorno dopo siamo partiti con un volo all’alba per Jodhpur e il nostro aereo si è sollevato nella compatta e fredda nebbia di Delhi. E ci siamo ritrovati a percorrere centinaia di chilometri passando dall’oasi di Osyan verso Jaisalmer, The Golden City, là dove il Rajasthan confina con il Pakistan. Là dove l’aria è fredda di deserto. E’ stato lì che abbiamo avuto il primo contatto con gli intoccabili. Loro non possono entrare nel forte di sabbia di Jaisalmer, siedono all’ingresso, in attesa di un’elemosina o adoperandosi in qualche spettacolo che porti loro un piccolo guadagno. A volte vendono ninnoli e attendono: più che seduti, accovacciati. In una posizione scomoda. Questo è un ricordo che mi è rimasto bene impresso da quel lungo viaggio in India: gli indiani si riposano e aspettano piegati sulle gambe, con solo le piante dei piedi che poggiano terra e il sedere sprofondato all’indietro, rasoterra. Ricordo un’anziana donna, elegante nel suo sari viola, turchese e arancione, seduta sulla strada in salita che porta al forte di Jaisalmer. Ero ancora lontana da lei e le ho sorriso, sembrava una signora che di lì a poco sarebbe tornata a casa a preparare il pasto alle famiglia, ai nipoti che – con le uniformi tutte uguali – tornano da scuola correndo, gesticolando e parlando a voce troppo alta. Mi sono avvicinata ed era una lebbrosa. Ho messo a fuoco i capelli spettinati, lo sguardo senza speranza di chi aspetta di morire augurandosi che la prossima vita sia benevola e la latta per l’elemosina. Era un’intoccabile, una senza casta. Le mancavano le dita delle mani. Ho forse fatto un salto indietro, non lo so, non ero preparata. Da quel momento mi sono resa conto che ero davvero arrivata in India.
Viaggio in India: Rajasthan, Udaipur come “Le mille e una notte”
C’è chi pensa possa essere lasciata fuori da un tour del Rajasthan, perchè è piccola e magari, così facendo, si riesce a recuperare un giorno per aggiungere una tappa altrove, magari per arrivare sino ad Agra. Udaipur, invece, è un prezioso gioiello quasi che dà l’idea si possa allontanare per un momento il pensiero dell’India più povera, prima di tornare a percorrere quelle strade di fango tra un villaggio e l’altro. Qui a Udaipur, nel Rajasthan, in cui i deserti sembrano ad anni luce di distanza, la povertà pare davvero essersi rarefatta con l’aria limpida che si respira tra queste montagne e si ha l’impressione di galleggiare, anche se solo per un paio di giorni, in un sogno.
India, Agra: la storia d’amore del Taj Mahal
Dopo tanto grigio, dopo le ombre cupe che si muovevano rapide nei villaggi di fango (erano bestie o persone?), avevamo bisogno di luce. E quasi ci ha accecati, quella del Taj Mahal. Era stato un lungo viaggio, dal Rajasthan all’Uttar Pradesh. Lasciata Jaipur al mattino, avremmo dovuto percorrere circa 250 chilometri. Purtroppo nell’India del Nord il tempo è dilatato, le strade non sono asfaltate e sono occupate da tori e bufali che si aggirano liberamente. Un villaggio dopo l’altro siamo arrivati ad Agra poco prima del tramonto, l’ora migliore per ammirare il Taj Mahal, la meraviglia dell’India. Per quanto uno se l’immagini da sempre e lo veda in fotografia, non è mai paragonabile alla bellezza del mausoleo dal vivo. Il Taj Mahal è l’edificio più straordinario che io abbia mai visto, puro, candido, dalle proporzioni perfette. Solo l’amore poteva disegnare qualcosa di così speciale.
Come organizzare un viaggio in India (quasi) fai-da-te
Un viaggio in India non si affronta come gli altri. Il viaggio in India è molto desiderato, studiato e anche un po’ sofferto visto che per ottenere il visto è necessario munirsi di tanta pazienza. Ma non è solo per questo. Ci sarà chi cercherà di sconsigliarvi di andare in India, con tutti i bei posti che ci sono da visitare nel mondo. E di certo verrete messi a dura prova, una volta là. Dalla povertà, perchè è davvero estrema e andrà a scontrarsi con il benessere non solo dei turisti di passaggio, ma anche di quello delle caste più in alto nella piramide sociale. E dal cibo, perchè – anche se io stranamente sono rimasta indenne – tra spezie e pulizia non sempre ottimale, è facile cadere preda di quella che laggiù chiamano Delhi belly.
Ecco quindi la prima cosa che vi consiglio per organizzare un viaggio in India: siate certi della vostra meta. Non vi sto scoraggiando, tutt’altro. Il viaggio nell’India del Nord, dove siamo stati noi per quasi venti giorni, è un’esperienza a cui penso molto spesso e che spero di ripetere nel nostro giro del mondo, ma bisogna esserne convinti.
AGGIORNATO GENNAIO 2019
Viaggi, dove siamo andati prima del Covid-19. E dove andremo. Non un bilancio, ma una lista di ricordi (a cui aggiungere i vostri)
L’ultimo ricordo spensierato prima di essere travolti dalla pandemia di Covid-19. L’ultimo viaggio “prima”. Quel viaggio in cui le preoccupazioni potevano andare da “speriamo che non perdano la mia valigia!!” al momento di angoscia del “avrò portato tutto? Ma sì, al massimo faccio shopping appena arrivo a destinazione”, passando per “non peseranno troppo, i bagagli?!”. È cambiato tutto, da allora. Anche chi ha avuto la fortuna – pur con mille accortezze – di organizzarsi la scorsa estate, sa che c’è qualcosa che non tornerà più. E quando c’è chi dice che siamo degli esagerati, che in fin dei conti si tornerà a strusciarsi dal tramonto all’alba al Cavo Paradiso di Mikonos e a prendere un drink assiepati su uno dei rooftop di Manhattan, sì, vero, si farà, ritengo che sarà comunque qualcosa di diverso. In qualche modo si farà. Ma non sarà più come prima. Se il nostro modo di viaggiare è cambiato dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York – e sono trascorsi quasi vent’anni – e il terrorismo ha comportato maggiori controlli di sicurezza rispetto ai quali non si è più tornati indietro – e ciò riguarda più che altro il nostro bagaglio – ora a essere controllato sarà il nostro corpo. Qualcosa da cui noi non ci possiamo separare. Perché forse stiamo portando in giro una bomba di cui siamo all’oscuro. Che potrebbe non toccare noi, ma avere una potenza deflagrante su altri individui più fragili. Di cui dobbiamo prenderci cura. È un nostro dovere.
Sarebbe bello che qui nei commenti o sui social di Valigia a due piazze (Instagram e Facebook) raccogliessimo un diario dell’ultimo viaggio spensierato “prima di”. In attesa di poter tornare a viaggiare con giudizio e rispetto, del nostro prossimo e del Pianeta che ci ospita.
Perché è vero che se vogliamo far parte di una società che sappia assisterci ed essere altruista ed empatica dobbiamo esserlo noi per primi, ma è anche vero che non possiamo negarci pensieri leggeri, con molto tatto verso coloro i quali hanno sofferto e stanno soffrendo sulla loro pelle perdite dovute al Covid-19, così come ci fa solo bene dedicare qualche momento a programmazioni di viaggi futuri, sussurrate sotto voce, a volte appena accennate al nostro partner, all’amica con cui sogniamo di prendere di nuovo il sole d’inverno, al figlio adolescente prima che ci sfugga via per organizzarsi, zaino in spalla, con i suoi compagni.
Elenchiamoli qui, i momenti belli. Gli ultimi ricordi spensierati prima della pandemia. Prima che tutto cambiasse e che il nostro mondo si spostasse dalle aule, dagli uffici, dai ristoranti, dalle spiagge, dalle palestre allo schermo di un computer. Prima che i nostri contatti finissero filtrati dai social e dalle videochiamate. Prima che i nostri sorrisi fossero nascosti dietro a un fazzoletto che ci salva la vita.
Guida pratica alla quarantena: consigli su viaggi in remoto e rimborsi, stimoli e piccole soluzioni di sopravvivenza
Che cosa fare durante la quarantena. È una delle domande che più spesso, in questo periodo, è rivolta a Google e ai motori di ricerca, come se potessero, loro, darci una risposta o una strada da seguire, un programma a cui attenerci per tenere alto lo spirito e per superare un momento che è indubbiamente inatteso, buio e difficile. Solo fino a 50 giorni fa, mai avremmo immaginato di restare chiusi in casa, come se fossimo intoccabili e superiori rispetto a chi già si stava ammalando a sole 11 ore di volo da noi, rispetto a chi già stava soffrendo e forse aveva qualcosa da insegnarci affinché potessimo essere più pronti di come ci ha trovati il virus.
Giordania on the road: come organizzare un viaggio tra Amman, Jerash, Petra, Wadi Rum, Monte Nebo, Madaba, Betania e Mar Morto
La prima domanda, quando qualcuno s’informa sulla Giordania, è sempre la stessa: è un Paese sicuro? Sì, la Giordania, sebbene si trovi in una regione turbolenta, per utilizzare un eufemismo, è un’oasi stabile e sicura, in cui non vi sentirete in pericolo. Per noi è stata la porta alla visita della Terra Santa, iniziando ad avvicinarci a ciò che è la storia di questi territori magici, da Betania al di là del Giordano al Monte Nebo, a Madaba. E se c’è chi viaggia in Giordania solo per scoprire Petra, uno dei siti patrimonio dell’umanità Unesco di questo Paese, sappiate che c’è anche molto altro da non perdere. Dalle rovine romane di una città meravigliosa come Jerash, alla vitalità della capitale Amman e poi il deserto di fuoco del Wadi Rum, come il Dead Sea, il Mar Morto salato e sotto il livello del mare che di anno in anno si ritira sempre più e un’escursione vale la pena prima che – purtroppo – sia tardi. Per non parlare dell’accoglienza e della generosità dei suoi abitanti nei confronti dei viaggiatori. La Giordania è uno di quei luoghi nel mondo che restano nel cuore per un mix di esperienze e di ricordi che si ha sempre voglia di rivivere.
Giordania: consigli pratici per organizzare un viaggio a Petra
Quanti giorni servono per visitare Petra? Come si arriva da Amman? Serve un visto per la Giordania? Sono sempre numerose le domande per raggiungere un luogo così sperduto che sembra quasi fantastico. E in effetti lo è, fin dal primo impatto con il Tesoro. Sì, perché, dall’ingresso del sito di Petra, si percorrono a piedi un paio di chilometri e si penetra nella stretta gola chiamata Siq. Le pareti rocciose sono alte quasi ottanta metri e a volte lo spazio è tanto angusto da apparire impossibile il passaggio delle carrozze trainate da cavalli o muli. E, agli ultimi passi, eccolo. Al mattino, illuminato dal sole diretto, il Tesoro è quasi infuocato. Il Khazneh è finalmente lì, di fronte a noi.